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Efficienza energetica. La grande sfida del decennio

Martedì 10 ottobre, è entrata finalmente in vigore la direttiva del Consiglio e del Parlamento europei sull'efficienza energetica del 13 settembre (2023/1791), dopo i 20 giorni stabiliti dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione (GUUE L 231 del 20 settembre) e una lunga gestazione protrattasi per due anni.

Un periodo durante il quale molto è cambiato, per i postumi della pandemia, gli effetti del cambiamento climatico e quelli ancor più devastanti dell'invasione russa dell'Ucraina. Un conflitto alle porte dell'Europa che ha indotto il Vecchio Continente a cercare di rendersi indipendente dalle risorse fossili ben prima del 2030.

Questo con il "REPowerEU", il piano della Commissione Europea (CE) recentemente aggiornato, di cui ho parlato più volte nei mesi scorsi (1), che travalica la portata del "Green Deal" e ha obbligato a estendere e anticipare i target del "Fit for 55".

Ovvero del pacchetto di provvedimenti messo in campo dalla CE nel luglio del 2021 per prepararsi a ridurre entro il 2030 le emissioni europee di gas serra del 55%, rispetto al valore del 1990, di cui la direttiva è uno strumento primario.

Misure sopravanzate, come detto, dalla stretta operata dal REPowerEU che persegue il triplice scopo di diversificare le fonti fossili nel breve periodo, di incrementare la produzione di energie rinnovabili e di accrescere l'efficienza energetica. Un compito arduo, perché i traguardi posti sono ritenuti da vari osservatori irraggiungibili nei tempi stabiliti.

Specie se si considera la fase di stagflazione, più o meno intensa, che sta attraversando l'UE, che impone di identificare mete e scadenze realistiche, compatibili con i tassi di sostituzione tecnologica concretamente possibili nei vari settori di produzione e consumo.

Mete da valutare con approfondite analisi, che appaiono per alcuni aspetti deboli o carenti negli Stati membri, in particolare circa il loro impatto economico e sociale, di cui intensificano la durezza nell'attuale frangente. Riferendosi alla riduzione del consumo nazionale, numerosi esperti reputano infatti assai difficile che esso possa arrivare a contrarsi ulteriormente di 1/5 entro fine decade.

Tanto più se si considera che la nostra intensità energetica è tra le più basse in Europa, dove peraltro il valore medio è diminuito nel tempo più rapidamente di quello italiano, e che un 20% in meno significa realizzare prossimamente quote di riduzione annuali molto superiori a quella che siamo riusciti a ottenere mediamente nei tre decenni che abbiamo alle spalle.

Cose note, questa ed altre, considerate evidentemente superabili, in quanto non hanno impedito all'UE di approvare una direttiva che pone obiettivi fortemente sfidanti, con il rischio che si debbano poi rimodulare. Come sta avvenendo nel caso dei veicoli stradali, dei quali il calo delle emissioni è stato reso meno stringente dal Consiglio Europeo, modificando la proposta di Regolamento CE che fissa gli standard della classe Euro 7, di cui parlo più avanti nel numero.

Ma, tornando in argomento, c'è da dire che in questo caso la direttiva sull'efficienza è stata approvata definitivamente in luglio, in opportuna concomitanza con l'invio alla CE da parte degli Stati Membri degli aggiornamenti delle edizioni 2019 dei rispettivi Piani Nazionali Integrati per l'Energia e il Clima (PNIEC), i quali tengono conto, quindi, del suo contenuto.

Sostanzialmente, poi, il provvedimento si limita ad aggiornare e concretizzare l'obiettivo comunitario fissato cinque anni fa, dunque da tempo, di diminuire di circa 1/3 il consumo di energia entro il 2030, rispetto al valore previsto per la medesima data calcolato nel 2007.

Nella comunicazione del 28 novembre 2018 "Un pianeta pulito per tutti" la CE aveva stimato, infatti, che per ridurre entro la fine del terzo decennio le emissioni di gas serra del 45% l'obiettivo di efficienza energetica al 2030, cioè di minori consumi, dovesse essere del 32,5%, determinando la quota sulla base delle proiezioni del consumo a tale anno nello scenario di riferimento UE
2007.

Il successivo aggiornamento alla fine del 2019, del target sulla CO2 al 55%, dei dati e dei modelli previsionali, ha generato un incremento di questa percentuale, comportando la necessità di arrivare a contrarre il consumo energetico nel 2030, riferito al nuovo scenario UE 2020, dell'11,7% (valore comunque minore del 13% previsto dal REPowerEu).

Target gravosi e sfidanti

Ciò significa che si deve passare da un consumo di energia finale dell'UE di 864 Mtep e di energia primaria di 1.124 Mtep nel 2020, rispettivamente, a 763 Mtep e 992,5 Mtep entro il 2030. Una scommessa difficile da vincere in sette anni. La direttiva fissa, pertanto, target molto stringenti, stabilendo che il risparmio energetico annuo debba passare, dall'attuale 0,8%, all'1,3% nel biennio 2024-2025, all'1,5% nel successivo 2026-2027 e all'1,9% dal 2028 in poi.

In tal modo l'entità del risparmio annuale del consumo di energia finale aumenterà gradualmente nel periodo 2024-2030, nel corso del quale dovrà risultare mediamente pari all'1,49%, raggiungendo il predetto valore dell'1,9% al termine della decade.

Quindi, ripetendo, gli Stati membri devono garantire complessivamente nel loro insieme una riduzione del consumo di energia finale di almeno l'11,7% nel 2030, rispetto alle previsioni stimate nel 2020.

Un traguardo che è vincolante, ma da conseguire collegialmente da parte degli Stati Membri con contributi nazionali che sono moderatamente flessibili. Essi sono stati inseriti nei rispettivi PNIEC di cui sopra, le cui revisioni, inviate alla CE, si è detto, nello stesso tempo in cui è stata approvata la direttiva, saranno finalizzate dagli Stati e dalla CE medesima entro giugno 2024.

L'algoritmo da utilizzare per la determinazione dei contributi nazionali è riportato nell'allegato I della direttiva stessa e considera, tra gli altri parametri, l'intensità energetica (ovviamente), il risparmio energetico potenziale, il PIL pro capite e la crescita del ricorso alle energie rinnovabili.

La CE valuterà se i contributi proposti raggiungeranno nel loro complesso il target dell'11,7%, imponendo correzioni per colmare i divari, atteso che la flessibilità di cui sopra consente agli Stati di discostarsi del 2,5% dal valore calcolato. Per l'Italia l'esecuzione del calcolo fissa un valore del consumo al 2030 di 92,1 Mtep di energia finale e di 112,2 Mtep di energia primaria.

Applicando il massimo margine di flessibilità consentito del 2,5% i valori crescono e gli obiettivi si attenuano leggermente, portando il livello di consumo di energia finale a 94,4 Mtep (115 Mtep quella primaria). Una cifra inferiore alle circa 100 Mtep sotto le quali, secondo Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, non si può andare con le misure attualmente in vigore e pianificate.

Per scendere ulteriormente, sempre secondo il MASE, sono necessarie azioni aggiuntive. Un'esigenza chiaramente annotata nella revisione del PNIEC trasmessa alla CE a inizio estate. Entrando nel merito di quanto stabilisce la direttiva con riferimento alla situazione italiana, gli efficientamenti possibili sono molteplici, caratterizzati in molti casi da valori soddisfacenti del rapporto benefici-costi, a patto che questi ultimi, ovvero le risorse finanziarie che sono necessarie, siano adeguatamente disponibili.

In allegato, è possibile scaricare il pdf completo dell'editoriale, che comprende anche:
- Tante opzioni possibili
- Un divario da colmare
- Nucleare: riprende il confronto su una possibile strategia nazionale

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Fonte: Editoriale La Termotecnica ottobre 2023
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