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Quell'impasse del metano che non aiuta il clima

Nell'articolo pubblicato a fine anno (1), nel quale ho riferito i modesti risultati raggiunti in dicembre a Dubai dalla COP 28 (30 novembre-13 dicembre), ho sottolineato l'enorme quantità di metano che viene rilasciata annualmente in atmosfera. In esso ho accennato al fatto che circa 150 Paesi hanno sottoscritto un "Impegno Mondiale sul Metano - Global Methane Pledge", lanciato a margine della COP 26 di Glasgow del 2021, obbligandosi a limitare collettivamente le emissioni antropiche di CH4 per raggiungere entro il 2030 un target di riduzione del 30%, sul valore del 2020. Un obiettivo importante, visto che contrarrebbe l'entità del riscaldamento globale di almeno 0,2 °C al 2050.

A questo fine l'IEA (International Energy Agency) stima che se gli impegni assunti nel corso della su citata COP 28, unitamente a quelli sin qui presi delle varie aree economiche, singoli Paesi e associazioni di aziende, fossero attuati compiutamente, le emissioni di metano provenienti dal settore dei combustibili fossili potrebbero dimezzarsi entro il decennio.

Un traguardo inferiore, comunque, alla riduzione del 75% che dovrebbe operare tale settore per concorrere al rispetto degli
obiettivi climatici a quella data per quanto gli compete.

Le ragioni che chiedono di ridurre le emissioni in atmosfera del CH4 sono molteplici.

Primariamente il suo effetto serra, che è il più importante dopo quello della CO2.
Il secondo, anche se il suo potenziale di riscaldamento globale, GWP (Global Warming Potential) è molto più grande di quello del biossido di carbonio: 28 volte più potente nell'arco di 100 anni (1kg di CH4 ha un potere di riscaldamento globale, GWP100, pari a 28 kg di CO2) e 80 nell'arco di 20.

Perché la sua concentrazione nell'aria è molto più bassa: circa 200 volte di meno, pure se dall'epoca preindustriale la presenza del metano è raddoppiata, da 1 ppm a quasi 2. Inoltre il metano è un potente inquinante atmosferico locale, in quanto contribuisce alla produzione di ozono troposferico, fortemente nocivo per la salute umana e gli ecosistemi naturali. In più
genera nella stratosfera anche la formazione di vapore acqueo, la cui presenza incrementa l'effetto serra e concorre pertanto, per altra via, ad aumentare il riscaldamento del pianeta.

C'è da dire poi che le riduzioni di CH4 interagiscono sinergicamente, in modo positivo, con quelle della CO2, dato che alle riduzioni di quest'ultima nei processi di combustione si associano pure diminuzioni della SO2.

Ciò inibisce la formazione di aerosol atmosferici, i quali con la loro azione schermante attenuano il riscaldamento climatico.

La loro assenza determina, quindi, un effetto negativo che può essere compensato da una minor presenza di CH4 nell'aria.

Oltretutto, rispetto a quella della CO2, la riduzione delle emissioni di metano è più conveniente sul piano economico, visto che lo spreco di metano comporta un costo, e agirebbe molto intensamente, ora, subito, quando serve. Perché nel breve periodo, stante il predetto maggiore GWP20 (80 volte di più), la crescita della concentrazione di metano nell'aria impatta notevolmente sul cambiamento climatico.

Dunque, la riduzione delle emissioni di metano va fortemente incentivata, in quanto è una strategia molto efficiente per limitare rapidamente, già in questi anni, il tasso di riscaldamento e contribuire da subito, in modo significativo, agli sforzi globali per contenere l'aumento della temperatura a fine secolo sotto 1,5°C.

Diverso è il discorso in una prospettiva di lungo periodo, dato che la CO2 rimane in atmosfera per molti decenni, prima di essere assorbita dai processi di carbonatazione, mentre il CH4 ha un tempo di permanenza medio di soli 10-12 anni.

Per questo motivo il suo ritmo di accumulo nell'aria è inferiore a quello del biossido di carbonio e in tal modo, unitamente alla sua piccola concentrazione nell'atmosfera, il CH4 ha concorso di meno al riscaldamento globale, pur avendo, come detto, un potere serra maggiore.

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Fonte: La Termotecnica aprile 2024
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